Questa vertiginosa crescita dell’accesso a Internet e la diffusione di dispositivi mobili che ne permettono un utilizzo costante ha portato a un significativo cambiamento della comunicazione e della gestione delle relazioni sociali tra le persone.
Ciò risulta vero soprattutto per gli  adolescenti  che tendono più facilmente a considerare il cyberspazio come un’occasione di  prolungamento e di mantenimento delle relazioni interpersonali  (Makri-Botsari e Karagianni, 2014).



La nuova modalità di interazione veicolata attraverso i  dispositivi digitali  costituisce il terreno fertile in cui è nata una nuova e specifica forma di azione aggressiva intenzionale chiamata “cyberbullismo” (Smith et al., 2008).



Questo fenomeno possiede la peculiarità di superare i confini del bullismo tradizionale, estendendo la sua portata dal reale al virtuale e fornendo agli adolescenti lo possibilità di agire con un certo grado di anonimato e un basso livello di controllo da parte degli adulti.



Smith e colleghi (2008)  definiscono  il cyberbullismo come “un azione aggressiva, intenzionale, effettuata da un gruppo o un individuo, tramite l’utilizzo di strumenti elettronici di contatto, che si ripete più volte nel corso del tempo a danno di una vittima che non riesce facilmente a difendersi”.



Il  cyberbullismo  possiede alcune peculiarità che lo distinguono dal bullismo tradizionale, nonostante la presenza di diverse somiglianze. Prima di tutto occorre evidenziare che il cyberbullismo è un’azione aggressiva indiretta  piuttosto che faccia a faccia (Willard, 2006).

 Può essere messo in atto  senza alcun contatto fisico  o conoscenza dell’identità del cyberbullo. Vi è un certo grado di “invisibilità” da parte di chi  agisce l’azione aggressiva  (Nocentini et al., 2010).



L’elemento dell’anonimato, infatti, implica una minore pressione della desiderabilità sociale nel manifestare le proprie opinioni, o gli sfoghi di rabbia e di emozioni distruttive (Genta, 2017).

 L’aggressore dunque, dietro la maschera dell’anonimato in un messaggio di testo, può essere convinto spesso si sfuggire alla legge.  La credenza di impunità  è possibile che funzioni come un istigatore di aggressioni violente e di odio nei confronti di singoli o di gruppi.



Il fatto di ritenere il cyberbullismo un’azione aggressiva indiretta  dipende dal fatto che l’autore non riesce a vedere facilmente  la reazione della vittima,  o almeno nel breve periodo (Willard, 2008). Questa componente tende a far aumentare l’indifferenza del cyberbullo e rende più facile il protrarsi dell’azione violenta; la mancanza di un  feedback  diretto, infatti, fa sì che sia più difficile provare  empatia  nei confronti della vittima o rimorso rispetto all’azione compiuta. La natura impersonale della comunicazione digitale può rendere meno consapevoli i cyberbulli della portata del danno emotivo e psicologico che possono aver causato nella vittima.



Il cyberbullismo, inoltre, si  protrae nel tempo, in quanto il contenuto offensivo pubblicato nel web non può essere cancellato facilmente. Il materiale che viene condiviso nel cyberspazio, infatti, risulta molto difficile da rimuovere o evitare e questo di per sé rende la vittima impotente. Un altro aspetto fondamentale è che nel corso di un tempo anche molto breve, l’atto di cyberbullismo può raggiungere un  vasto pubblico  a differenza di quanto accade nel bullismo tradizionale.



Infine, è difficile sfuggire al cyberbullismo, poiché non esiste un  luogo sicuro  dove nascondersi: la vittima può ricevere messaggi ovunque e in qualunque momento così come un contenuto online è sempre condivisibile e fruibile. A differenza di quanto accade nel bullismo faccia a faccia, in cui la vittima, una volta ritornata a casa, è lontana e al riparo dall’aggressore, nel cyberbullismo è molto più difficile prendere le distanze dall’azione aggressiva proprio a causa delle presenza pervasiva delle tecnologie.



In sintesi, un certo numero di aspetti fa sì che il cyberbullismo possa essere considerato differente dal bullismo tradizionale. Tuttavia, tali differenze non risultano fondamentali in sé e per sé, ma solo nel momento in cui influiscono sugli aspetti concreti del fenomeno, quali, per esempio, la perpetrazione dell’azione violenta e l’impatto psicologico  sulle vittime (Caravita et al., 2018).

 Articolo scritto da:

Andrea Borsetto
Psicologo Psicoterapeuta, esperto in psicologia della comunicazione e nuove tecnologie, è iscritto all’Albo A dell’Ordine degli Psicologi della Lombardia e specializzato in Psicoterapia Breve Integrata e Focale presso l’istituto ISERDIP di Milano. Tra le diverse esperienze, dal 2014 al 2016 ha collaborato con l’Associazione Icaro ce l’ha fatta di Milano occupandosi di sensibilizzazione all’uso consapevole di internet e delle nuove tecnologie e di prevenzione dei maggiori rischi connessi alla rete.

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